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Il grande inquisitore

da

I fratelli Karamazov

di

Fedor Michailovic Dostoevskij

 

 

<Eh, già: anche qui non si può fare a meno di una premessa, di una premessa letteraria>, scoppiò a ridere Ivan. <Che razza di autore sono! Vedi, l'azione si svolge nel sedicesimo secolo e a quel tempo - dovresti saperlo, del resto dalla scuola - a quel tempo, nelle opere poetiche, si usava far discendere sulla Terra le forze celesti. Non parliamo di Dante. In Francia i clercs de la basoche e anche i monaci nei monasteri davano vere e proprie rappresentazioni nelle quali portavano in scena la Madonna, gli angeli, i santi, Cristo e Dio stesso. Allora tutto ciò era molto ingenuo. In Notre Dame de Paris di Victor Hugo, per celebrare la nascita del Delfino di Francia, sotto Luigi XI, viene offerta al popolo, nella sala del Municipio di Parigi, una rappresentazione edificante dal titolo: Le bon jugement de la très sainte et gracieuse Vierge Marie dove Ella compare di persona e pronuncia il suo bon jugement. Anche da noi, a Mosca, prima dei tempi di Pietro, si davano di tanto in tanto delle rappresentazioni drammatiche quasi analoghe, tratte soprattutto dal Vecchio Testamento; ma allora circolavano per il mondo numerose novelle e numerosi poemi nei quali agivano, all'occorrenza, santi, angeli e tutte le forze celesti. Da noi nei monasteri si traducevano, si trascrivevano e addirittura si componevano simili poemi, persino sotto il dominio tataro! Esiste, per esempio, un poemetto monastico (di certo tradotto dal greco) con delle immagini: La Madre di Dio fra i tormenti con delle immagini non inferiori per arditezza a quelle di Dante. La Madre di Dio visita l'Inferno e a guidarla "fra i dannati" è l'Arcangelo Michele. Vede i peccatori e le loro sofferenze. E lì vi è fra l'altro un interessantissima schiera di peccatori in un lago bollente: quelli di loro che affondano nelle acque del lago così da non riemergere più "Dio li dimentica ormai per sempre" - un'espressione di una forza e di una intensità straordinarie. Ed ecco che la Madre di Dio, affranta e piangente, si inginocchia dinanzi al trono di Dio e chiede misericordia per tutti coloro che ha veduto all'inferno, senza distinzione. Il suo colloquio con Dio è immensamente interessante. Essa Lo supplica, non si dà per vinta e quando Dio le indica le mani e i piedi del Figlio trafitti dai chiodi e domanda: "Come posso perdonare i suoi carnefici?", intima a tutti i santi, ai martiri, agli angeli e agli arcangeli di inginocchiarsi con Lei e di chiedere misericordia per tutti, senza distinzione. Alla fine Ella lo implora affinchè faccia cessare i tormenti dei dannati ogni anno dal Venerdì Santo al giorno della Pentecoste, e i peccatori dall'Inferno subito ringraziano il Signore e lo acclamano, gridano: "Hai giudicato giustamente, o Signore!". Be', anche il mio poemetto sarebbe stato una cosa del genere se fosse apparso a quell'epoca. Nel poema è Lui ad entrare in scena; per la verità non dice nulla, fa la sua comparsa e se ne va. Sono trascorsi ormai quindici secoli da quando fece la promessa di tornare in tutta la sua gloria, quindici secoli, da quando il profeta scrisse: "Giungerò presto. Il giorno e l'ora non li conosce neanche il Figlio, ma solo il Padre Mio celeste", come Lui disse quando era ancora sulla Terra. Ma l'umanità l'attende con la stessa fede di sempre e con la stessa commozione. Oh, con una fede ancora più grande giacchè sono trascorsi già quindici secoli da allora, da quando il cielo ha cessato di dare pegni agli uomini:

Credi a ciò che li cuore dice

Non più pegni dà il cielo

E non è rimasta che la fede in ciò che dice il cuore! A dire il vero, si verificavano allora anche molti miracoli. Vi erano santi che operavano guarigioni miracolose e alcuni giusti - secondo quanto attestano le loro biografie - ricevevano la visita della Regina dei Cieli in persona. Ma il diavolo sonnecchia e gli uomini cominciarono fin da allora a dubitare della veridicità di questi miracoli. Proprio allora aveva fatto la sua comparsa al Nord, in Germania, una nuova terribile eresia. Una enorme stella "simile ad una fiaccola" (ossia alla Chiesa) "cadde sulle sorgenti d'acqua ed esse divennero amare". Questi eretici presero empiamente a negare i miracoli. Ma con tanto più fervore si mise a credere chi era rimasto fedele. Le lacrime degli uomini si innalzano fino a Lui come prima, e come prima l'attendono, lo amano, confidano in Lui, bramano di soffrire e morire per Lui… ed ecco l'umanità per tanti secoli aveva pregato con fede e con ardore: "Signore mostrati a noi", per tanti secoli l'avevano invocato che Egli, nella sua infinita misericordia, volle discendere fra loro. Anche prima di allora era disceso e aveva visitato dei giusti, dei martiri e dei santi anacoreti, come è scritto nelle loro Vite. Da noi Tjutcev, che credeva profondamente nella verità delle proprie parole, annunciò che:

Oppresso dalla greve croce

Tutta, o terra natia,

In umili vesti il Re dei Cieli

Ti percorse e benedisse.

E che fu assolutamente così è ciò che ora ti dirò. Ecco che Egli volle mostrarsi almeno per un istante al popolo - al suo popolo sofferente e tormentato corrotto dal peccato, ma che lo ama come un fanciullo. L'azione nel mio poema si svolge in Spagna, a Siviglia, nel periodo più atroce dell'Inquisizione, quando per la gloria di Dio, ogni giorno nel Paese ardevano i roghi e

Con grandiosi autodafè

Si bruciavano gli eretici.

Oh, certo, questo non era il modo in cui Egli scenderà come ci ha promesso alla fine dei secoli in tutta la sua gloria celeste, "come folgore che riluce da Oriente a Occidente". No, Egli volle per un attimo visitare i suoi figli e proprio là dove cominciavano a crepitare i roghi degli eretici. Nella sua infinita misericordia Egli passa ancora una volta fra gli uomini nello stesso sembiante umano con cui era stato per tre anni in mezzo agli uomini quindici secoli prima. E discende verso le "vie roventi" della città meridionale, dove proprio il giorno avanti in "un grandioso autodafè", alla presenza del re, della corte, dei cavalieri, dei cardinali e delle più avvenenti dame di corte, dinanzi a tutto il popolo di Siviglia, il cardinale grande inquisitore aveva fatto bruciare in una sola volta quasi un centinaio di eretici ad majorem gloriam Dei. È comparso furtivamente, senza farsi sentire, ma, fatto strano, tutti lo riconoscono. Questo potrebbe essere uno dei passi più belli del poema, ossia spiegare perché lo riconoscono. Il popolo è irresistibilmente attratto verso di Lui, lo circonda, gli fa sempre più ressa intorno, lo segue. Egli passa silenzioso in mezzo a loro, con un mite sorriso di infinita compassione. Il sole dell'amore gli arde nel cuore, e dai suoi occhi fluiscono i raggi della Luce, del Sapere e della Forza, ed effondendosi negli uomini fanno tremare il loro cuore d'amore, in una muta corrispondenza. Egli tende loro le braccia, li benedice e dal contatto con Lui, e anche solo dalle sue vesti, promana una forza risanatrice. Ed ecco che dalla folla un vecchio, cieco fin dall'infanzia, esclama: "Signore, risanami, ed anch'io ti vedrò!", ed è come se dai suoi occhi cadesse una squama e il cielo lo vede. Il popolo piange e bacia la terra dove Egli cammina. I bambini gettano fiori al suo passaggio, cantano e lo acclamano: "Osanna!". "E' Lui, è proprio Lui" ripetono tutti "dev'essere Lui, non può essere che Lui!" Egli si ferma sul sagrato della cattedrale di Siviglia proprio nel momento in cui accompagnano nella chiesa, fra i pianti, una piccola bara scoperta: dentro riposa una bimba di sette anni, la sola, unica figlia di un eminente cittadino. Il cadaverino è sommerso dai fiori. "Lui resusciterà la tua bambina!" gridano dalla folla alla madre in lacrime. Il prete, uscito dalla cattedrale incontro alla bara, guarda perplesso e aggrotta le sopracciglia. Ma a un tratto si leva il lamento della madre della bimba morta. Ella si getta ai suoi piedi: "Se sei davvero tu, resuscita la mia piccina!" esclama, tendendo le braccia verso di Lui. Il corteo si arresta, la piccola bara viene deposta sul sagrato ai suoi piedi. Egli la guarda con compassione e le sue labbra pronunciano un'altra volta ancora sommessamente le parole: "Thalita kumi", "Fanciulla alzati". E la bimba si alza nella bara, si mette a sedere si guarda intorno, sorridendo, con gli occhi sgranati pieni di stupore. Ha in mano il mazzo di rose bianche con cui giaceva nella bara. Il popolo si agita, si odono grida, singhiozzi, ed ecco che proprio in quell'istante sulla piazza, accanto alla cattedrale, passa il cardinale grande inquisitore in persona. È un vecchio di quasi novant'anni, alto e dritto, con il viso scarno e gli occhi infossati, nei quali, però, riluce come una scintilla, un bagliore. Oh, egli non ha la sontuosa veste cardinalizia di cui faceva sfoggio ieri davanti al popolo quando venivano arsi al rogo i nemici della fede di Roma - no, in questo momento non indossa che il suo vecchio, rozzo saio monastico. Lo seguono a una certa distanza i suoi aiutanti, i suoi schiavi e la "sacra" guardia. Si ferma dinanzi alla folla e osserva da lontano. Ha veduto tutto, ha veduto deporre la bara ai suoi piedi e resuscitare la bambina e il suo viso si è rabbuiato; aggrotta le folte sopracciglia canute e il suo sguardo risplende di una luce sinistra. Tende il dito ed ordina alle guardie di prenderlo. E tale è la sua forza e a tal punto il popolo è avvezzo a sottomettersi e a obbedirgli timoroso che la folla subito fa largo alle guardie e queste, nel silenzio di tomba che di colpo è calato, mettono le mani su di Lui e lo conducono via. Per un istante la folla tutta, quasi fosse un sol uomo, china il capo fino a terra davanti al vecchio inquisitore ed egli benedice il popolo in silenzio e passa oltre. Le guardie conducono il prigioniero nella tetra prigione a volte nell'antico palazzo del Santo Uffizio e ve lo rinchiudono. Passa il giorno, sopravviene la notte, la nera, calda "soffocante" notte sivigliana. L'aria "odora di lauri e di limoni". Nelle tenebre fonde si apre a un tratto la porta di ferro e il vecchio inquisitore in persona, con una torcia in mano, entra lentamente nella prigione. È solo, la porta si richiude subito dietro di lui. Si arresta sulla soglia e a lungo, per un minuto o due, fissa il suo viso. Finalmente si avvicina a passi lenti, posa la torcia sul tavolo e gli domanda: "Sei tu? Sei tu?". Non ricevendo risposta, aggiunge rapido: "Non rispondere, taci! E poi, cosa potresti dire? So anche troppo bene quel che diresti. Ma tu non hai alcun diritto di aggiungere nulla a quel che già dicesti una volta. Perché sei venuto a infastidirci? Perché sai anche tu che sei venuto a infastidirci. Ma sai che accadrà domani? Io non so chi tu sia ne voglio sapere se tu sia proprio Lui o se gli somigli, ma domani ti condannerò e ti brucerò sul rogo come il più empio degli eretici e quello stesso popolo che oggi ti baciava i piedi, domani, a un mio cenno, si precipiterà ad aizzare il fuoco del tuo rogo, lo sai questo? Sì, forse lo sai" aggiunse profondamente assorto, senza distogliere un solo istante lo sguardo dal prigioniero.>

<Io proprio non capisco, Ivan: che cosa vuol dire?> Sorrise Alesa, che fino ad allora aveva seguito in silenzio. <Si tratta della fantasia delirante del vecchio o il suo è soltanto un abbaglio, un assurdo qui pro quo?>

<Propendi pure per quest'ultima ipotesi> si mise a ridere Ivan <se il realismo contemporaneo ti ha già talmente guastato che non riesci a tollerare niente di fantastico. Vuoi un qui pro quo? E sia! È vero> e rise di nuovo <il vecchio ha novant'anni e da un pezzo potrebbe aver perso la ragione per quella sua idea. Potrebbe essere rimasto colpito dall'aspetto esteriore del prigioniero o potrebbe, infine, soltanto trattarsi di un delirio, della visione di un vecchio ormai prossimo alla morte, oltretutto eccitato dall'autodafè dei cento eretici bruciati sul rogo il giorno prima. Ma che differenza fa per noi che si tratti di un qui pro quo o di una fantasia delirante? Qui l'essenziale è che il vecchio debba esternare il proprio pensiero e che finalmente lo esterni e lo dica a voce alta, dopo aver taciuto per novant'anni.>

<E il prigioniero, tace anche lui? Lo guarda, senza dire una parola?>

<Ma è così che deve essere in ogni caso!> scoppiò di nuovo a ridere Ivan. <E' il vecchio a rilevare che non ha il diritto di aggiungere nulla a quello che ha già detto una volta. Se vuoi, vi è anche in questo il tratto più distintivo del cattolicesimo romano, almeno a mio avviso: tu hai trasmesso tutto al papa, e dunque, ora tutto è nelle mani del papa; tu puoi anche non venire affatto o se non altro non infastidirci prima del tempo. E in questo modo, non solo parlano, ma anche scrivono, i gesuiti, perlomeno. L'ho letto io nelle loro opere di teologia. "Hai tu il diritto di rivelarci anche uno solo dei segreti del mondo da cui sei venuto?" gli domanda il mio vecchio e poi si risponde da solo. "No, non ce l'hai, per aggiungere altro a quello che hai già detto una volta, per non privare gli uomini della libertà che avevi tanto difeso quando eri sulla Terra. Tutto quel che di nuovo predicassi ora attenterebbe alla libertà di fede degli uomini poiché apparirebbe come un miracolo, ma la loro libertà di fede ti era più cara di ogni altra cosa, già allora, millecinquecento anni fa. Non eri forse tu a ripetere sempre: "Voglio rendervi liberi?". Ecco, ora li hai visti questi uomini liberi" aggiunge a un tratto il vecchio con un sorriso pensoso. " Sì, questa faccenda ci è costata cara" prosegue guardandolo severo "ma noi l'abbiamo finalmente portata a termine, nel nome tuo. Per quindici secoli ci siamo tormentati con questa libertà, ma ora è finita, decisamente finita. Tu non credi che sia finita? Mi fissi con quel tuo sguardo mite e non mi degni neppure della tua indignazione? Ma sappi che ora, proprio oggi, questi uomini sono più che mai convinti di essere completamente liberi; eppure ci hanno reso la loro libertà e l'hanno deposta umilmente ai nostri piedi. Ma siamo stati noi a ottenerlo, era forse questo che volevi? Una libertà simile?">

<Di nuovo non capisco> l'interruppe Alesa <fa dell'ironia, scherza?>

<Nient'affatto. Attribuisce come merito a sé e ai suoi di avere infine annientato la libertà e di averlo fatto per rendere felici gli uomini. "Perché ora" (si riferisce naturalmente all'Inquisizione) "è diventato possibile per la prima volta pensare alla felicità degli uomini. L'uomo è stato creato ribelle; ma possono forse essere felici i ribelli? Ti avevamo avvertito" gli dice "avvertimenti e consigli non ti erano mancati, ma tu non li ascoltasti, tu rinnegasti l'unica via per la quale si potevano rendere felici gli uomini; ma, per fortuna, andandotene affidasti a noi la cosa. Tu hai promesso, hai garantito con la tua parola, ci hai dato il diritto di legare e di liberare e ora non puoi proprio pensare di riprendertelo. Perché sei venuto a infastidirci?">

<Ma che significa: "Non ti erano mancati avvertimenti e consigli?"> chiese Alesa.

<E' proprio questo il punto essenziale che il vecchio deve esprimere. "Lo spirito intelligente e terribile, lo spirito della autodistruzione e del non essere" continua il vecchio "il grande spirito parlò con te nel deserto e ci è stato tramandato dai libri che egli ti tentò. Non è così? Ma era mai possibile dire qualcosa di più vero di ciò che egli ti rivelò in quelle tre domande, che nei libri sono chiamate tentazioni e che tu respingesti? Eppure, se mai vi fu sulla Terra un vero, dirompente miracolo, fu proprio quel giorno, il giorno delle tre tentazioni. Il miracolo risiedeva per l'appunto nella formulazione di quelle tre domande. Se si dovesse immaginare, solo come esempio o come ipotesi, che quelle tre domande dello spirito terribile fossero scomparse dai libri senza lasciare traccia e che bisognasse ricostruirle, pensarle e formularle di nuovo per reinserirle nei libri, e perciò occorresse radunare tutti i sapienti della Terra - governanti, prelati, eruditi, filosofi, poeti - e assegnare loro questo compito: immaginate, formulate tre domande che non solo si addicano alla portata dell'evento, ma soprattutto esprimano in tre parole, in tre frasi umane tutta la futura storia del mondo e dell'umanità, pensi tu che tutta la sapienza della terra, riunita insieme, saprebbe escogitare qualcosa di simile per forza e profondità a quelle tre domande a te poste nel deserto dallo spirito potente e intelligente? Già da tali domande, dal miracolo della loro formulazione si può arguire che si ha a che fare non con una peritura intelligenza umana, ma con un'intelligenza sempiterna e assoluta. Perché in queste tre domande è come sintetizzata e preconizzata tutta la successiva storia dell'umanità, e sono rivelati i tre paradigmi in cui convergeranno tutte le insolubili contraddizioni storiche della natura umana sulla Terra. Allora questo non poteva ancora essere così evidente poiché l'avvenire era ignoto, ma adesso che sono trascorsi quindici secoli noi vediamo che in quelle tre domande tutto è stato a tal punto profetizzato e predetto e si è talmente avverato che non è più possibile aggiungere e togliere alcunchè. Decidi tu stesso chi aveva ragione se tu o colui che ti interrogava. Rammenta la prima domanda; se non le esatte parole, il senso tuttavia era questo: Tu vuoi andare nel mondo e vai a mani vuote, con una promessa di libertà che gli uomini, nella loro semplicità e nella loro sregolatezza innata, non possono neppure concepire, e dalla quale sono intimoriti e spaventati poiché per l'uomo e per la società umana non vi è mai stato nulla di più intollerabile della libertà! Vedi invece queste pietre nel deserto nudo e infuocato? Mutale in pani e l'umanità ti seguirà come un gregge dolce e riconoscente, anche se eternamente timoroso che tu possa ritirare la tua mano e privarlo dei tuoi pani. Ma non volesti privare l'uomo della libertà e disdegnasti l'invito giacchè, pensasti, quale libertà vi può mai essere se l'obbedienza la si compra con i pani? Tu obbiettasti che non di solo pane vive l'uomo, ma sai tu, che in nome di questo pane terreno insorgerà contro di te lo spirito della Terra, e lotterà con te, e ti vincerà, e tutti lo seguiranno esclamando: 'Chi è pari a questa bestia? Essa ci ha dato il fuoco prendendolo al cielo!'. Sai che trascorreranno secoli e l'umanità proclamerà per bocca del suo sapere e della sua scienza che il delitto non esiste e che dunque non esiste il peccato, ma esistono soltanto gli affamati? 'Sfamali e poi pretendi la virtù!', ecco quel che scriveranno sulla bandiera che leveranno contro di te e che abbatterà il tuo tempio. Al posto del tuo tempio sorgerà un nuovo edificio, una nuova terrificante Torre di Babele, e benchè anche questa resterà incompiuta come la prima, tu avresti però potuto evitare questa nuova torre e abbreviare di mille anni le sofferenze umane pperchéè da noi che verranno, dopo essersi angustiati per mille anni con la loro torre! Allora ci verranno a cercare sottoterra, nelle catacombe dove avremo trovato rifugio (perché saremo nuovamente perseguitati e torturati) ci troveranno e ci grideranno: 'Sfamaci, perché coloro che ci avevano promesso il fuoco dei cieli non ce l'hanno dato'. E allora saremo noi a finire la loro torre poiché la finirà chi li sfamerà e saremo noi a sfamarli, nel nome tuo, dando a credere di farlo nel nome tuo. Oh, mai, mai essi saprebbero sfamarsi senza di noi! Nessuna scienza darà loro il pane finchè resteranno liberi, e alla fine non potranno che deporre la loro libertà ai nostri piedi e ci diranno: 'Rendeteci pure schiavi, ma sfamateci!'. Finalmente capiranno da soli che libertà e pane terreno a piacimento per tutti sono cose fra loro inconcordabili perché mai e poi mai sapranno dividerlo fra loro! E si persuaderanno che non potranno essere mai neppure liberi perché sono deboli, viziosi, inetti e ribelli. Tu hai promesso loro il pane celeste, ma lo ribadisco: può esso competere, dell'eternamente viziosa ed eternamente indegna razza umana, con quello terreno? E se a migliaia e a decine di migliaia ti seguiranno in nome del pane celeste, che avverrà dei milioni e dei miliardi di esseri che non troveranno la forza di disdegnare il pane terreno per quello celeste? O forse a te sono care solo quelle decine di migliaia di esseri grandi e forti, mentre gli altri milioni di deboli - numerosi come i granelli di sabbia, che tuttavia ti amano - devono essere solo materiale per i grandi e per i forti? No, a noi anche i deboli sono cari. Sono viziosi e ribelli, ma alla fine diventeranno arrendevoli. Ci ameranno e ci riterranno simili agli dei, perché, mettendoci alla loro testa, abbiamo accettato di sopportare la libertà e di dominarli, tanto li atterrirà alla fine l'essere liberi! Ma noi diremo che obbediamo a te e che governiamo a nome tuo. Così li inganneremo di nuovo perché non lasceremo più che ti accosti a noi. E appunto in questo inganno starà la nostra sofferenza giacchè dovremo mentire. Ecco qual era il significato di questa prima domanda nel deserto ed ecco che cosa respingesti in nome di quella libertà da te posta al di sopra di tutto! E, tuttavia, nella domanda era racchiuso un grande mistero di questo mondo. Accettando i 'pani' avresti dato una risposta all'eterna e universale angoscia dell'uomo, del singolo individuo come dell'umanità intera, e cioè: 'Dinanzi a chi inchinarsi?'. Non vi è affanno più tormentoso e continuo per l'uomo, rimasto libero, che il ricercare al più presto qualcuno da venerare. Ma l'uomo ricerca qualcosa che sia già inconfutabile, tanto inconfutabile che tutti gli esseri acconsentano unanimemente ed universalmente a venerare. Perché la preoccupazione di questi miseri esseri non è soltanto quella di trovare qualcosa che possa essere venerata dall'uno o dall'altro, bensì di trovare qualcosa in cui tutti credano e che tutti venerino, ma tutti insieme, senza eccezione. E proprio questo bisogno di comunione nella venerazione è il più grande tormento di ogni singolo individuo e dell'umanità intera fin dall'inizio dei secoli. Per esso si sono sterminati a vicenda con la spada. Hanno creato degli dei e si sono sfidati l'un l'altro: 'Abbandonate i vostri dei e venite ad adorare i nostri!'. E così sarà fino alla fine del mondo, anche quando gli Dei scompariranno dalla Terra: comunque si getteranno in ginocchio davanti agli idoli! Tu lo sapevi, tu non potevi non sapere questo fondamentale segreto della natura umana, ma respingesti la sola irrefutabile bandiera che ti veniva offerta per far sì che tutti si inchinassero senza discutere davanti a te: la bandiera della libertà e del pane celeste. Guarda che cosa hai fatto poi e sempre in nome della libertà! Io ti dico che non vi è per l'uomo affanno più grande che quello di trovare al più presto qualcuno a cui rendere il dono della libertà che quell'infelice ha avuto nascendo. Ma si impossessa della libertà degli uomini solo chi pacifica la loro coscienza. Con il pane ti si offriva una bandiera inattaccabile: dagli il pane e l'uomo ti si inchinerà poiché non vi è nulla di più indiscutibile del pane; ma se, a un tempo, qualcun altro si impossesserà della sua coscienza oltre a te, oh, allora, getterà via anche il tuo pane e seguirà chi ha lusingato la sua coscienza. In questo avevi ragione. Perché il segreto dell'esistenza umana non sta solo nel vivere, ma in ciò per cui si vive. Senza sapere con certezza per che cosa vive, l'uomo non accetterà di vivere e si sopprimerà pur di non restare sulla Terra, se anche intorno a lui non vi fossero che pani. È così, ma che cosa è accaduto? Anziché impossessarti della libertà degli uomini, tu l'hai accresciuta ancora di più! O avevi forse dimenticato che la tranquillità e persino la morte sono più care all'uomo della libera scelta fra il bene e il male? Non vi è nulla di più allettante per l'uomo della libertà di coscienza, ma nulla è altrettanto tormentoso. Ed ecco che, invece di fermi principi con cui rassicurare la coscienza dell'uomo una volta per sempre, tu hai scelto tutto quello che vi era di più insolito, dubbio e oscuro e che era al di sopra delle loro forze, e perciò hai agito come se non li amassi affatto! E chi mai avrebbe agito così? Proprio Colui che era venuto a dare la sua vita per loro! Anziché impossessarti della libertà umana tu l'hai potenziata e hai oppresso per sempre con il fardello dei suoi tormenti il dominio spirituale degli uomini. Tu hai voluto il libero amore dell'uomo affinchè ti seguisse liberamente, ammaliato e conquistato da te. In luogo dell'antica legge stabilita, sarebbe stato l'uomo d'ora in poi a dover decidere liberamente nel suo cuore tra il bene e il male, avendo come unica guida la tua immagine. Ma è mai possibile che tu non abbia pensato che alla fine avrebbe contestato e ripudiato anche la tua immagine e la tua verità, se lo si fosse oppresso con un fardello così terribile come la libertà di scelta? Esclameranno infine che la libertà non è in te, perché non si poteva lasciarli più preda di ansie e di tormenti di quanto tu hai fatto, dando loro tanti affanni e problemi insolubili. In tal modo fosti tu a porre le basi per la rovina del tuo regno e non attribuirne quindi la colpa a nessuno. E che cosa ti si offriva invece? Vi sono tre forze, tre sole forze sulla Terra in grado di vincere e incatenare per sempre la coscienza di questi esseri miseri e ribelli, per garantire loro la felicità: il miracolo, il mistero e l'autorità. Tu rifiutasti la prima, la seconda e la terza, dando così l'esempio. Quando lo spirito terribile e saggio ti pose in cima al tempio e ti disse: Se vuoi sapere se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché di Lui è stato detto che gli angeli lo sosterranno e lo porteranno ed Egli non cadrà e non si sfracellerà, e saprai allora se tu sei il Figlio di Dio e dimostrerai la tua fede nel Padre tuo tu, dopo averlo ascoltato, respingesti l'offerta, non ti piegasti e non ti gettasti giù. Oh, certo, agisti allora magnificamente, fieramente, come un dio; ma gli uomini, questa debole razza ribelle, sono forse dei? Oh, tu comprendevi che facendo un solo passo, anche il solo gesto di gettarti giù avresti subito tentato il Signore e avresti perduto la tua fede in Lui e ti saresti sfracellato su quella Terra che eri venuto a salvare, e lo spirito ingegnoso che ti aveva tentato avrebbe esultato. Ma, ti ripeto, sono forse molti quelli come te? È mai possibile che tu abbia supposto, seppure per un attimo, che anche gli uomini potessero resistere a una tentazione simile? La natura umana è forse fatta per rinnegare il miracolo e, in momenti così cruciali della vita, dinanzi ai più inquietanti, tormentosi e fondamentali interrogativi spirituali affidarsi soltanto alla libera decisione del cuore? Oh, tu sapevi che la tua opera sarebbe stata tramandata dai libri, avrebbe raggiunto il fondo dei tempi e i confini più remoti della Terra, e confidavi, che, seguendoti, anche l'uomo sarebbe rimasto con Dio, senza bisogno di miracoli! Ma tu non sapevi che non appena l'uomo avesse rinnegato il miracolo avrebbe rinnegato anche Dio poiché l'uomo non cerca tanto Dio quanto i miracoli. E, non avendo la forza di rinunciare ai miracoli, l'uomo si creerà nuovi miracoli, suoi propri, e si inchinerà ai prodigi di un guaritore o alle stregonerie di una fattucchiera fosse anche cento volte ribelle, eretico ed ateo! Tu non scendesti dalla croce quando, per schernirti e per deriderti, ti gridavano: 'Scendi dalla croce e allora crederemo che sei tu'. Tu non scendesti perché ancora una volta non volesti rendere schiavo l'uomo con un miracolo e bramavi una fede libera, non fondata sul miracolo. Bramavi un amore libero e non il servile fervore di uno schiavo dinanzi al potente che l'atterrisce per sempre. Ma anche qui tu hai tenuto troppo in conto gli uomini poiché essi sono di certo degli schiavi, benchè siano stati creati ribelli. Guarda e giudica, ormai sono trascorsi quindici secoli: chi hai innalzato fino a te? Ti giuro, l'uomo è stato creato più debole e più vile di quanto tu pensassi! Può forse eguagliarti in ciò che hai fatto? Stimandolo tanto, hai agito come se cessassi di averne compassione perché troppo hai preteso da lui, e chi ha fatto questo? Colui che l'amava più di se stesso! Se lo avessi stimato meno avresti preteso anche meno da lui, perché più lieve sarebbe stato il suo fardello. Egli è debole e vile. Che importa se ora si ribella ovunque contro il nostro potere e si inorgoglisce della sua ribellione? È l'orgoglio del bambino e dello scolaretto! Sono bambini che hanno tumultuato in classe e hanno scacciato il maestro. Ma finirà anche l'entusiasmo dei bimbetti e costerà loro caro. Abbatteranno i templi e inonderanno di sangue la Terra. Ma si accorgeranno alla fine, questi scolaretti superbi di essere solo dei ribelli e dei ribelli deboli, incapaci di sostenere la propria ribellione. Versando le loro sciocche lacrime, riconosceranno infine che chi li ha creati ribelli voleva di certo farsi beffe di loro. E lo diranno in preda alla disperazione e le loro parole saranno una bestemmia che li renderà ancora più infelici, perché la natura umana non tollera la bestemmia e alla fine sempre se ne vendica. E così inquietudine, sgomento e infelicità sono l'attuale sorte degli uomini dopo che tu hai sofferto tanto per la loro libertà! Il tuo grande profeta, nella sua visione e nella sua allegoria, dice di aver veduto tutti coloro che partecipano alla prima resurrezione e che ve n'erano dodicimila per ogni tribù. Ma se erano tanti voleva dire che non erano uomini, bensì dei. Hanno sopportato la tua croce, per decine di anni hanno sopportato la fame e il nudo deserto, cibandosi di cavallette e di radici, e ormai puoi mostrare con orgoglio questi figli della libertà, dell'amore libero, del libero e magnifico sacrificio da loro compiuto nel nome tuo. Ma non dimenticare che erano soltanto poche migliaia, e per di più dei: e tutti gli altri? E che colpa hanno tutti gli altri, i deboli, se non hanno saputo sopportare quello che i forti hanno sopportato? Di che cosa è colpevole un'anima debole se non ha la forza di accogliere doni così terribili? Possibile che tu sia venuto davvero solo agli eletti e per gli eletti? Ma se è così, questo è un mistero che noi non possiamo comprendere. E se è un mistero, avevamo noi pure il diritto di predicarlo e di insegnare agli uomini che non la libera decisione del loro cuore importa, né l'amore, bensì il mistero a cui devono assoggettarsi ciecamente, anche contro la loro coscienza. E così abbiamo fatto. Abbiamo corretto la tua opera, fondandola sul miracolo, sul mistero e sull'autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere guidati di nuovo come un gregge e di vedere il loro cuore finalmente liberato da un dono tanto terribile che aveva arrecato loro tanti tormenti. Avevamo ragione di insegnare e di agire così? Dillo! Non amavamo forse l'umanità, riconoscendo con tanta umiltà la sua debolezza, alleviando con amore il suo fardello e permettendo alla sua debole natura di peccare, ma con il nostro consenso? Perché mi fissi in silenzio, con il tuo sguardo mite e penetrante? Adirati, io non voglio il tuo amore perché io stesso non ti amo. E che cosa avrei da nasconderti? O non so con chi sto parlando? Ciò che intendo dirti, ti è già noto: lo leggo nei tuoi occhi. E sarei io a doverti nascondere il nostro segreto? Forse vuoi proprio sentirlo dalle mie labbra? Allora senti: noi non siamo come te, ma come Lui - ecco il nostro segreto! Da un pezzo non siamo più con te, ma con Lui: da ormai otto secoli. Sono precisamente otto secoli che accettammo da Lui ciò che tu respingesti con sdegno, quell'ultimo dono che Egli ti offriva mostrandoti tutti i regni terreni: noi accettammo da Lui Roma e la spada dei Cesari e dichiarammo di essere i soli re della Terra, gli unici, benchè finora non siamo riusciti a portare a compimento la nostra opera. Ma di chi è la colpa? Oh, la nostra opera è solo al principio, ma è già cominciata. Ancora a lungo bisognerà attendere il suo compimento e la Terra soffrirà ancora molto, ma noi raggiungeremo il fine, saremo Cesari e allora ci preoccuperemo della felicità universale. Però tu avresti già allora potuto prendere la spada dei Cesari. Perché respingesti quest'ultimo dono? Accettando questo terzo consiglio dello spirito potente tu avresti esaudito tutto ciò che l'uomo cerca sulla Terra, e cioè: chi venerare, a chi affidare la propria coscienza e in che modo infine riunirsi tutti in un unico formicaio comune e concorde, perché il bisogno di un'unione universale è il terzo e ultimo tormento degli uomini. Da sempre l'umanità, nel suo insieme, ha mirato a organizzarsi in modo universale. Molti furono i popoli che hanno avuto una grande storia, ma quanto più avanzati erano questi popoli tanto più erano infelici perché avvertivano più profondamente degli altri l'esigenza di un'unione universale fra gli uomini. Grandi conquistatori, come Timur e Gengis-Khan, passarono sulla terra come un turbine, mirando a conquistare l'universo, ma anche loro, sia pur inconsapevolmente, esprimevano la stessa grande esigenza umana di un'unione universale. Accettando il mondo e la porpora dei Cesari, avresti fondato il regno universale e garantito una pace universale. Chi infatti dovrebbe dominare gli uomini se non coloro che dominano la loro coscienza e nelle cui mani è il loro pane? E noi prendemmo la spada dei Cesari, e prendendola, naturalmente ripudiammo te e seguimmo Lui. Oh, trascorreranno ancora secoli di eccessi del libero pensiero, di scienza e di antropofagia perché, avendo iniziato a erigere la Torre di Babele senza di noi, è con l'antropofagia che finiranno! Ma appunto allora la bestia striscerà verso di noi e leccherà i nostri piedi, spruzzandoli con le lacrime di sangue che sgorgheranno dai suoi occhi. E noi ci assideremo sulla bestia e leveremo in alto un calice su cui sarà scritto: Mistero! Ma solo allora e da lì avrà inizio il regno della pace e della felicità per gli uomini. Tu sei orgoglioso dei tuoi eletti, ma tu non hai che eletti, mentre noi porteremo la serenità a tutti. E ancora: quanti di quegli eletti e di quei forti che avrebbero potuto diventarlo si sono stancati infine di attenderti e hanno portato e porteranno le forze del loro spirito e l'ardore del loro cuore in un altro campo e finiranno per innalzare proprio contro di te la loro libera bandiera! Ma tu stesso hai innalzato questa bandiera. Con noi invece saranno tutti felici e non si ribelleranno più né si stermineranno a vicenda, come facevano ovunque con la tua libertà. Oh, noi li convinceremo che saranno liberi soltanto quando rinunceranno alla loro libertà in nostro favore e si assoggetteranno a noi. Ebbene, avremo ragione o mentiremo? Essi stessi si persuaderanno che abbiamo ragione perché rammenteranno a quale orrenda schiavitù e a quale orrendo turbamento li avrebbe condotti la tua libertà. La libertà, il libero pensiero e la scienza li condurranno in tali labirinti e li porranno davanti a tali miracoli e a tali indecifrabili misteri che alcuni di loro, indocili e violenti, si distruggeranno da sé, mentre altri, indocili ma deboli, si stermineranno fra loro, e gli ultimi rimasti, deboli e infelici, strisceranno ai nostri piedi e ci grideranno: 'Sì, avevate ragione: voi siete i soli a possedere il suo segreto e noi torniamo da voi. Salvateci da noi stessi'. Ricevendo da noi il pane, vedranno certo chiaramente che quello è il loro pane, guadagnato dalle loro braccia e che noi lo prendiamo per distribuirlo, senza alcun miracolo; vedranno che non abbiamo mutato in pane le pietre, ma inverità più che del pane stesso saranno lieti di riceverlo dalle nostre mani! Perché ricorderanno anche troppo bene che prima, senza di noi, il pane da loro guadagnato si tramutava nelle loro mani in pietre, mentre, una volta tornati da noi, quelle stesse pietre si sono mutate in pane. E apprezzeranno anche troppo che cosa vuol dire sottomettersi una volta per sempre! E finchè gli uomini non lo capiranno non saranno felici. Dimmi: chi più di tutti ha favorito questa incomprensione? Chi ha diviso il gregge, disperdendolo per vie sconosciute? Eppure il gregge si radunerà di nuovo e tornerà a sottomettersi, questa volta per sempre. Allora daremo loro la tranquilla, umile felicità degli esseri deboli quali essi sono. Oh, noi li convinceremo infine a non insuperbirsi giacchè tu, innalzandoli, hai insegnato loro a insuperbirsi; dimostreremo loro che sono deboli, che sono soltanto dei poveri fanciulli, ma che la felicità dei fanciulli è più dolce di ogni altra. Diventeranno timorosi e per la paura guarderanno a noi, si stringeranno a noi come i pulcini alla chioccia. Ci ammireranno e ci temeranno, e saranno fieri di noi, così potenti e intelligenti da essere riusciti a domare un gregge così turbolento e illimitato. Tremeranno di fronte alla nostra collera, la loro intelligenza si intimidirà e i loro occhi si faranno lacrimosi come quelli delle donne e dei bambini, ma altrettanto facilmente passeranno, a un nostro cenno, all'allegria e al riso, alla gioia radiosa e alle leggiadre canzoncine infantili. Sì, li costringeremo a lavorare, ma nelle ore libere dalla fatica organizzeremo la loro vita come un gioco infantile, con fanciulleschi cori e canti e danze innocenti. Oh, concederemo loro anche il peccato perché sono deboli e fragili e ci ameranno come bambini perché permetteremo loro di peccare. Diremo loro che ogni peccato, purchè commesso con il nostro consenso, verrà riscattato; che concediamo loro di peccare perché li amiamo e che il castigo per questi peccati lo prenderemo su di noi. Lo prenderemo su di noi ed essi ci adoreranno come benefattori perché ci saremo fatti carico dei loro peccati dinanzi a Dio. E non avranno più segreti per noi. Noi permetteremo o proibiremo loro di vivere con le proprie mogli o amanti, di avere o non avere figli - sempre giudicando in base alla loro obbedienza - e loro si assoggetteranno con allegria e con gioia alla nostra decisione perché ciò li libererà da un grande affanno e dalla terribile attuale sofferenza di dover decidere da sé. E tutti saranno felici, milioni e milioni di esseri, fuorchè quel centinaio di migliaia che saranno alla loro guida. Perché solo noi, che siamo depositari del segreto, saremo infelici. Vi saranno miliardi di creature felici e centomila martiri che avranno preso su di sé la maledizione della conoscenza del bene e del male. Morranno quietamente, quietamente si spegneranno nel tuo nome, e oltre la tomba non troveranno che la morte. Ma noi serberemo il segreto e per la loro felicità li alletteremo con una ricompensa celeste ed eterna. Perché, seppure vi fosse qualcosa nell'altro mondo, non sarebbe certo per quelli come loro. Dicono e profetizzano che tu verrai e vincerai di nuovo, verrai con i tuoi eletti, fieri e potenti, ma noi diremo che loro hanno salvato soltanto loro stessi, mentre noi abbiamo salvato tutti. Dicono che la meretrice assisa sulla bestia con il calice del mistero fra le mani sarà disonorata, che i deboli si ribelleranno di nuovo, che strapperanno la sua porpora e denuderanno il suo corpo 'impuro'. Ma allora io mi alzerò e ti mostrerò i miliardi di creature felici che non hanno conosciuto il peccato. E noi, che per la loro felicità ci saremo fatti carico dei loro peccati, ci alzeremo dinanzi a te e ti diremo: 'Giudicaci, se puoi e se osi'. Sappi che io non ti temo. Sappi che anch'io sono stato nel deserto e mi sono cibato di cavallette e di radici, e anch'io benedicevo la libertà con la quale tu avevi benedetto gli uomini e mi preparavo ad entrare nel numero dei tuoi eletti, nel numero dei potenti e dei forti, bramando di 'completare il numero'. Ma tornai in me e non volli servire la causa della tua follia. Tornai e mi unii alla schiera di coloro che hanno corretto la tua opera. Mi allontanai dai superbi e tornai agli umili, per la felicità di quegli umili. Ciò che ti dico si avvererà e sorgerà il nostro regno. Ti ripeto che domani stesso tu vedrai questo docile gregge che al mio primo cenno si precipiterà ad attizzare i carboni ardenti del tuo rogo, sul quale ti farò bruciare perché sei venuto a disturbarci. Giacchè se vi è qualcuno che più di tutti abbia meritato il nostro rogo, quello sei tu. Domani ti farò bruciare. Dixi.">

 

[…]

 

<Ma come finisce il tuo poema?> domandò ad un tratto, chinando gli occhi. <O è così che finisce?>

<Volevo finirlo così: l'inquisitore tace, aspettando per un po' che il prigioniero gli risponda. Il suo silenzio gli pesa. Ha notato come il prigioniero l'ha ascoltato per tutto il tempo senza mai distogliere da lui il suo sguardo calmo e penetrante, non volendo, evidentemente, obiettare nulla. Il vecchio desidererebbe, invece, che gli dicesse qualcosa, anche di terribile e amaro. Ma a un tratto Egli in silenzio si avvicina al vecchio e lo bacia dolcemente sulle sue vecchie labbra esangui. Ed è tutta la sua risposta. Il vecchio sussulta. Gli angoli delle sue labbra hanno come un tremito; va verso la porta, l'apre e gli dice: "Vattene e non venire più… mai più, mai più!". E lo lascia andare per le "oscure vie della città". Il prigioniero si allontana.>

<E il vecchio?>

<Quel bacio gli brucia nel cuore, ma il vecchio non muta la sua idea.>

<E tu con lui, vero?> esclamò con amarezza Alesa. Ivan scoppiò a ridere.